IL TRAMONTO DI PALMIRA
Difficile, per il viaggiatore che si reca in Siria, non
subire il fascino dei tramonti infuocati di Palmira, "la sposa del deserto", il
cui sito archeologico, nel 1980, fu riconosciuto dall'UNESCO patrimonio
dell'umanità grazie alle preziose ricerche di Khaled al-Assad, archeologo, scrittore
e traduttore siriano, che del sito fu Direttore dal 1963 al 2003.
Pochi anni fa, le bande nere dell'Isis/Daesh fecero, invece, di Palmira una città martire del patrimonio
culturale. A colpi di mazze ed esplosivo, oltre a statue e
sarcofagi, furono distrutti i templi di Bel e Baalshamin, le torri funerarie
romane, l'Arco di Trionfo, e i famosi leoni di pietra calcarea che custodivano
il tempio di Al-lāt. Non paghi di questa devastazione, a metà luglio 2015 i
miliziani dell'Isis rapirono proprio Assad, torturandolo ripetutamente per
essersi rifiutato di consegnare centinaia di reperti che aveva nascosto e messo
al sicuro dal fanatismo jihadista. Un rifiuto che gli costò caro. Il 18
agosto 2015, il professore venne
ucciso davanti a decine di persone. In un tramonto già infuocato dal sole
morente, il suo corpo decapitato tinse di rosso la piazza antistante il Museo
della città nuova di Palmira e, come ultimo scempio, fu appeso ad un palo della
luce. Aveva ottantadue anni il professor
Khaled al-Assad, più di cinquanta trascorsi a dedicare anima e corpo a quel
sito che amava moltissimo e che
conosceva ormai molto bene.
Da una parte, dunque, un amore grandissimo, conclusosi tragicamente per la furia
iconoclasta di fanatici, pronti a distruggere a martellate i simboli di una
cultura e la sua storia.
Dall'altra, una barbarie senza confini, che parte dall'odio dello Stato islamico verso l'umanità e
tutto ciò che è bello. Un odio con un fondamento teologico molto forte (le antiche statue vanno eliminate in quanto idoli pagani),
ragione per cui gli jihadisti sono riusciti ad attirare e reclutare volontari
anche fuori dal mondo islamico. Una voglia di devastazione che si spiega, più materialmente, anche con i benefici
economici derivanti dalla distruzione di opere d'arte e monumenti antichi, e dalla conseguente vendita, a collezionisti o al mercato nero, di quel che resta di un sito o di un museo distrutto.
Oggi,il restauro dei manufatti danneggiati a Palmira e la riapertura del sito,
programmata per la prossima estate, simboleggiano la voglia di ricostruzione
non solo da parte degli archeologi siriani, ma di una popolazione distrutta che
vuole tornare a vivere, che rivendica il diritto a rimettere insieme i pezzi
della propria esistenza e lo fa. Lo fa con una risolutezza perfino commovente,
rendendo accessibili e il più possibile vivibili le macerie, umanizzando un
contesto che tuttora emana odore di guerra e di morte. Lo fa coltivando la speranza
che la Siria, culla di civiltà, possa rinascere seppur fra tante incertezze,
nell'assenza di lavoro, nella scarsità di risorse, fra i tentativi di una
riconciliazione tutt'altro che facile.
Non è ipocrisia, riteniamo, impegnarsi nel sostenere da lontano - senza cioè
rimboccarsi le maniche - questa e molte altre cause, e altrettante umane
speranze. Quello che ciascuno, nel proprio piccolo, può fare, è dar voce a
sofferenze che non sono mai tanto distanti da non poter essere condivise, e
che, anzi, dobbiamo fare nostre, in un'ottica di globalità che non dev'essere un concetto da utilizzare all'occorrenza, quando più ci fa comodo.
Ecco, allora, come pure un evento musicale possa fungere da eco e rammentarci che, a
pochi meridiani da noi, ben altra musica fa da sottofondo alla quotidianità
faticosissima di chi, rispetto ad un esodo senza sosta, ha preferito - o dovuto
- scegliere di restare, probabilmente per le stesse ragioni per cui Assad ha
accettato di morire. Le ragioni di chi, a dispetto di qualunque devastazione,
crede non esista notte così buia da non permettere ad un uomo di confidare - se
non per se stesso, almeno per chi verrà dopo di lui - nell'arrivo di una nuova
alba.
E così, anche coltivare l'arte, in tutte le sue espressioni, musica compresa, e
coltivare l'amore per la bellezza, può incoraggiare un Paese morente a reagire, a rialzarsi, a
riprendere vita, a sperare. Ciò che noi cercheremo di fare, dunque, per la
Siria, è sostenere a distanza questo angolo di mondo nella convinzione che fino
a quando ci saranno tramonti infuocati a tingere di rosso e arancio le colonne
di Palmira, i sogni di Assad e di un'umanità distrutta ma ancora viva, saranno
salvi e realizzabili. Una speranza, questa, che facciamo anche nostra.
(Daniela Carloni, pres. "Musici
cantori")